Fu un tempi in cui ero ancora un grande e soffice impasto di acqua e farina che si lasciava accarezzare della pale della impastatrice. Era bello, divertente direi, muoversi intorno, girare in cerchio, verso l'alto e poi verso il basso e poi nuovamente ed ancora verso l'alto. Giravo e giravo su di me, a volte in me ed a volte fuori di me mentre le modernissime pale d'acciaio mi torcevano benevolmente.
Dalle pale passavo ad un torchio, strumento antico in uso presso la famiglie contadine. Un torchio questo, come quelli d'un tempo di cui avevo già sentito parlare da formati di pasta molto più antichi di me.
Ecco, ricordo, venivo sollevato e riposto in piccole palle di pasta. Abili mani mi lavoravano dopo la grossa impastatrice. Mani capaci, femminili nel tatto ma forti come buoi con il giogo al collo mentre arano i campi.
Abili le mani in cui mi riponevano per dare a me quell’ aspetto grossolano, quasi ruvido che le liscie pale d'acciaio avevano inzialmente corretto per essere omogeneo nell'aspetto, elastico e malleabile abbastanza perché le mani potessero prendersi cura di me. Impastato all'ultima fase su di una grande tavola di marmo, impastato e rimpastato da più mani e più e più volte ancora. A volte sbattuto a faccia in giù sulla fredda superficie grigia di quel tavolo da cucina, a volte a faccia in su verso l'abbondante petto della massaia che mi girava come un calzino bucato da cucire con cura.
Il torchio, eccolo là che mi aspettava. Lucido come il trattore appena comperato, lustro come la luna piena in una notte stellata, oleato da poco in attesa di produrre la pasta per la famiglia, per quella domenica un pò speciale in cui i parenti Bolognesi arrivavano dalla città per godersi il fresco della campagna e la signora Gina azionava l'impastatrice nuovissima che le avrebbe risparmiato ore di faticoso lavoro mentre ella avrebbe potuto concedersi del tempo per mungere oppure raccogliere uova oppure semplicemente per annaffiare i fiori del giardino.
Ritorniamo alla mia storia, a quella dello spaghetto spezzato. Piacere, mi presento. Di nome faccio numero 7 (se mi comperi al supermercato) mentre qui in campagna mi chiamano "Bigolo". "Piacere Bigolo" usavo dire mentre uscivo dai trafori del torchio, nuovo di anima e di forma. Fresco come il latte appena munto, fresco come le uova sbattute con lo zucchero, fresco come una granita alla menta in una calda serata d'estate.
Ecco, Bigolo, cioè io. Lo spaghetto per antonomasia, lo spaghetto assoluto. Fresco, a volte di farina integrale, a volte di semolino, a volte con le uova ma pur sempre spaghetto lungo e più o meno sottile.
Esco dal traforo dove la Gina mi ha spinto dopo le sue amorevoli cure. Quasi, quasi ci restavo volentieri tra le sue mani. Mi sembrava di subire un massaggio zen, un trattamento di bellezza per ravvivare il mio aspetto, per rendermi manualmente maleabile al punto giusto da poter entrare nel traforo del torchio. Traforo, traforo, ma si c'è ne sono tantissimi. Quelli industriali attraverso ai quali scompari in una scatola di cartone per essere messo sugli scaffali non appena hai potuto prendere atto del tuo aspetto spaghettoso oppure questo, quello della Gina, dal quale esci lentamente, ruvidamente, anticamente per essere poi messo ad essicare al sole sopra a canovacci di lino e canapa, sopra a leggeri gratticci di paglia perchè sia il sole a darci il giusto colore e quel profumo genuino che solamente lui puoi concedere ad un Bigolo come me.
Eccomi lì, steso all'aria. Steso come ho descritto sopra oppure letteralmente appeso a dei fili, come i panni dopo il bucato. Appeso a file, appeso ed appeso, fila dopo fila per creare file intere di tende bianche, candide, profumate ma sopratutto commestibli dopo la cottura. Lunghissimi capelli d'angelo appesi al vento in attesa d'essere raccolti dalle abili mani di Gina. In attesa di trovare un connubbio celestiale; sugo rosso, ragù, qualche strano pesto casalingo, una semplice ricottina con i pinoli...aspettiamo un pò i parenti Bolognesi...sono sempre loro a decidere il condimento giusto per me, per Bigolo il RE della cucina Italiana.
Ecco, la sento mentre si muove tra di noi. Metri e metri di sottile pasta stesa al sole. Metri, centinaia di metri prodotti questa mattina per deliziare i palati di pochi.
Passa la Gina con i grossi fianchi ondeggianti. A volte ci sfiora, a volte ci fa muovere come le creste delle onde del mare quando un colpo di vento le sfiore. Ondeggia Gina mentre il suo grembiule sfiora infiniti spaghetti penzolanti.
Ci raccoglie la Gina, ci raccoglie e ci pone delicatamente nel suo grande cesto. Con attenzione, con cure, con occhi accorti, la Gina ci pone in quel grandissimo cesto. Bigolo ed i suoi fratelli, Bigolo ed i miei fratelli perchè sono sempre io che scrivo, il Bigolo di prima. Ricordate? Piacere Bigolo!
Eccoci tornati in cucina. Allungati sul freddo tavolo di marmo dopo una mattinata al sole. Croccanti fuori, ancora morbidi dentro. Annuso l'aria con la speranza di cogliere un buon profumo, con l'auspicio di sapere a quali pietanze sarò abbinato per deliziare queste bocche affamate.
Basilico, pomodorini freschi, una scaglietta di pecorino, due o tre pinoli, la ricotta di pecora per rendere il tutto morbidissimo. Si attendo il mio turno per essere cotto, per essere lessato al punto giusto. Cotto lesso per il sugo, sono lesso, sono cotto di pomodorini freschi e basilico. Oggi è proprio la mia giornata fortunata. Eccolo il pentolono che bolle, blub, blub, blub sul fuoco. Una manciata o due di sale grosso..anche versare il sale la Gina lo sa fare con maestria. Ecco, Gina si avvicina, le sue mani si allungano per raccogliere i primi metri di spaghetti, le sento intorno a me, ricordo mentre m'impastava, ricordo quella meravigliosa sensazione di cura, di benessere, di amore che lei trasmetteva con le mani.
Ecco, ahi, ma come, che succede, che mi vogliono fareeeeeee????? Nooooo. La cugina Bolognese mi vuole spezzare. Ha preso un mio fratello e sta spiegando alla Gina che in città si fà così. Fa più in, e più elegante mangiare gli spaghetti spezzati. Il mio di cugino..Bigollo...si lamenta...l'han spezzato e lui non è assolutamente abituato ad essere trattato così. Grida Bigollo ma le due cugine ingrembiulate non lo possono sentire..soltanto noi, dagli orecchi sopraffini riconosciamo questo grido indignato. Ohi, gli spaghetti fanno resistenza, lottano. Dal tavolo di muovono, prendono vita questi Bigoloni di campagna e si tuffano in tutta la loro interezza nel pentolone della Gina. Lei sorride capendo mentre la cugina di città si ricrede meravigliata.
Bigolo ha insegnato la sua lezione. Lo spaghetto, grande o piccolo che sia, tondo o snello, capello d'angelo o ruvidissimo bucatino, va nella pentola interamente integro.
HazelSidhe
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